Molti anni fa la tuta da uomo veniva indossata prevalentemente da sportivi, cantanti e attori. Oggi è uscita dai confini dello sportswear per diventare un indumento trasversalmente apprezzato. Vediamone la storia e le proposte di questa stagione.
A Firenze da Eredi Chiarini C.P. Company e Majestic interpretano l’indumento diventato emblema di uno stile rilassato, ma non per questo poco curato
La tuta ha da poco compiuto 100 anni e nel corso della sua lunga storia ha vissuto vicende alterne. Dopo essere stata inventata negli anni ’20 ha vissuto un periodo di oblio da cui è uscita soprattutto negli anni ’80. Gli stilisti del tempo capirono che il progresso avrebbe portato la maggior parte degli individui ad abbandonare certi cliché nell’abbigliamento e a ricercare forme di ottimizzazione nella gestione del tempo – anche quello dedicato alla scelta di cosa indossare.
Deriva da qui il successo di un capo da mettere senza troppi pensieri. Diventò, infatti, l’abito della cultura pop, indossato inizialmente da cantanti e celebrità come Elvis Presley e Mick Jagger, poi largamente diffuso presso tutta la popolazione.
Da allora la tuta – nelle sue declinazioni, intera o spezzata che fosse – non è mai più stata trascurata, ma anzi è stata oggetto di interpretazioni e rielaborazioni delle case di moda che, di stagione in stagione, ne hanno fatto un pezzo cult.
Lo sport è stato tra i primi settori ad adottarla come indumento tipo e non l’ha mai abbandonata; non solo per la comodità assicurata dalla sua vestibilità, ma anche per il suo DNA. L’omologazione che produce quando viene indossata da più persone, la rende perfettamente compatibile con lo spirito di squadra. Ovvero con il sentirsi parte di un gruppo e con la volontà di convergere verso un obiettivo, agendo all’unisono anche se con ruoli e capacità diverse.
Oggi da noi in negozio troverete le interpretazioni che C.P. Company e Majestic Filature hanno fatto di questo indumento. Prima però ripercorriamone le origini.
La tuta nasce come sperimentazione futurista e nel suo DNA c’è anche un po’ di Firenze
Sapevate che la tuta è anche un po’ un’invenzione fiorentina? Nasce, infatti, nell’ambito del movimento futurista nel 1919-1920, grazie alla mente di un un anglo – svizzero – americano – fiorentino futurista Ernesto Michahelles, in arte Thayaht. La madre è anglo-americana; il padre svizzero di origine tedesche. Thayaht trascorse poi un’infanzia a Firenze nei pressi di Poggio Imperiale, nella residenza fiorentina di via Benedetto da Foiano, accanto a Villa Ibbotson.
A fare eco alla sua invenzione contribuisce anche la testata «La Nazione» che in un articolo del 27 giugno 1920 così descriveva la tuta: “Sopraveste di un solo pezzo con pantaloni e maniche, di robusto cotone o di fibre speciali, indossata da operai, sportivi o persone che svolgono particolari attività”.
La praticità dell’indumento e il collegamento con attività di fatica è sottolineato anche da un importante esponente del Futurismo. Prezzolini così ne parlava: “[…] abito di fatica, tutto d’un pezzo, piuttosto abbondante, ma con i polsi e le caviglie strette da un cinturino; ed era nato dalla necessità per i meccanici, specie d’automobile e d’aeroplano, d’un copri tutto rapido a indossare, di poca spesa, lavabile, impenetrabile alla polvere, non facile a esser attirato in un ingranaggio. […].
L’identità è dunque quella di un capo di abbigliamento molto poco pretenzioso, legato soprattutto a contesti lavorativi di fatica, con uno spirito anti-borghese e democratico. Lo suggerirebbe anche il nome, probabilmente un adattamento del francese tout-de-meme, ovvero “tutti uguali”.
Il dopoguerra, dagli anni ’50 agli anni ’60, etichetta la tuta come scadente e ne determina l’oblio, relegandola al solo ambito sportivo e riducendone al minimo gli sviluppi creativi.
Negli anni ’80, lo streetwear incontra per la prima volta il couture. Nascono delle ibridazioni che portano maestri del classico come Nino Cerruti e Giorgio Armani a elaborae versioni da passerella della tuta. Da quel modello base a quattro tasche realizzato con un unico taglio di tessuto, le sue versioni oggi in commercio sono moltissime.
C.P. Company: tute con un tocco glamour
C.P. Company è forse il primo brand in assoluto a proporre un concetto di menswear informale d’ispirazione sportiva. Massimo Osti lo fonda nel 1971 con il nome di Chester Perry, dal nome di un fumetto che amava. Accusato di plagio da due marchi inglesi, dovette quindi cambiare il nome della sua azienda e decise di lasciare solo le iniziali: C.P. Company.
Visto il DNA, giubbotti, felpe, bermuda e ovviamente tute non potevano mancare in una collezione Primavera-Estate 2020 che si basa su tradizione, innovazione e performance, con capi dal design innovativo. La versione estiva della tuta prevede la combinazione di bermuda con felpe dal design minimalista e tessuti di grande qualità e leggerezza.
Vedi la collezione PE20 di CP Company
Majestic Filature: essenzialità delle linee e filati pregiati
Anche Majestic Filature, brand francese che si è specializzato in modo verticale nella produzione di t-shirt di eccellente qualità e stile, propone per questa stagione capi che confermano il suo essere stato per oltre 30 anni pioniere nello sviluppo dei migliori filati nei materiali più belli. Il risultato sono capi senza tempo, realizzati con materiali nobili e innovativi, in cui dettagli e accuratezza del taglio fanno la differenza.
Vedi la collezione PE20 di Majestic
Se siete amanti del menswear informale ispirato allo sport non potete quindi lasciarvi sfuggire l’occasione di venire a vedere le nuove proposte di tute e abbigliamento sportivo Primavera-Estate 2020 a Firenze da noi di Eredi Chiarini. Vi aspettiamo!